Entrevista a Marifé Santiago
In occasione della ricorrenza dell’8 marzo, vogliamo presentare un breve ritratto di una donna, la scrittrice Marifé Santiago Bolaños, ricercatrice scientifica in Filosofia e professoressa di Estetica e Teoria dell’Arte presso l’Università Rey Juan Carlos di Madrid. I suoi studi si concentrano sul dialogo tra filosofia e creazione artistica, con particolare attenzione all’incontro tra culture e civiltà e si realizzano attraverso conferenze internazionali, prologhi e libri. Collaboratrice Onoraria dell’ Università Complutense di Madrid (UCM) nel Dipartimento di Filosofia IV, Teoria della conoscenza e Storia del pensiero, attualmente fa parte del gruppo di ricerca “Poetica della modernità”, presso la Facoltà di Filologia dell’UCM). Inoltre, per più di un decennio, ha diretto l’Aula de Investigación Teatral della Facoltà di Filosofia dell’UCM.
È patrona della Fondazione María Zambrano (tra gli altri studi, è stata responsabile dell’edizione delle “Lettere inedite da María Zambrano a Gregorio del Campo”) e del Centro Studi sull’Esilio. È Accademica Corrispondente dell’Accademia Reale di Storia e Arte di San Quirce e Vicepresidente dell’Associazione Classica e Moderna per l’uguaglianza di genere nella cultura.
Dal 2004 al 2011 ha diretto il Dipartimento di Educazione e Cultura della Presidenza del Governo spagnolo ed è stata insignita con l’Encomienda de Número de la Orden del Mérito Civil (del Governo spagnolo) e con la Comenda da Ordem do Ordem do Infante D. Henrique (del Governo portoghese).
Recentemente Lei è stata a Roma presentando una conferenza dal titolo “L’esilio come patria delle donne”. Cosa le interessa di più l’esilio o le donne?
Il convegno si inseriva nell’ambito delle attività di commemorazione dell’80° anniversario dell’esilio repubblicano spagnolo, 1939-2019, promosse dal governo spagnolo. Le date che richiedono commemorazioni sono estremamente importanti per concentrare l’attenzione su questioni che altrimenti potrebbero passare inosservate o rimanere nell’ambito della specializzazione. In questo senso, ho codiretto un Congresso sulle donne durante l’esilio repubblicano e, con questa visione, è stata sviluppata la mia conferenza romana: l’esilio delle donne aggiunge al dramma generale dell’esilio delle peculiarità che hanno a che fare con il ruolo preteso per le donne. Mi interessa quindi mettere in evidenza tutto ciò che finora è stato messo a tacere o ignorato sull’esilio delle donne che, insisto, ha le sue proprie sfumature e, per questo, aggiunge l’ingiustizia alla grande e propia ingiustizia di dover abbandonare, come dice Maria Zambrano, il tuo proprio spazio e tempo.
Cosa significa per le donne doversi impadronire di nuovi territori?
Cambierò l’azione: invece di “impadronirsi” dirò “abitare” quei territori dove noi donne non c’eravamo. Significa portare la verità alla menzogna e, quindi, sfidare immaginari che non vengono messi in discussione e, come la più sinistra delle abitudini, è un’eredità velenosa per una sana costruzione dello spazio di ciò che è comune. Fino a poco tempo fa le donne erano legalmente portate a farlo in virtù di una sorta di “prestito di libertà”. Fare un passo di propria spontanea volontà in una direzione non stabilita per le donne significava una punizione sociale diretta o subdola; in ogni caso un freno quando non era una frustrazione inappellabile. Affermare che nello spazio del comune siamo persone, uomini e donne, significa che la mappa democratica cambia forma. E così facendo, e questo è molto bello, il diritto umano conquistato , raggiunto, fa sì che ci siano uomini e donne che crescono in dignità. Quando noi donne siamo riuscite ad abitare spazi che erano tanto nostri quanto di coloro che avevano deciso che così non fosse, la giustizia cresce per tutti, non solo per noi, perché altri spazi oscuri cominciano a ricevere una luce che è stata loro negata o che si pensava non avevessero neanche il diritto di avere.
Attualmente lei sta lavorando con l’Ambasciata di Spagna in Italia ad un Dizionario sui personaggi spagnoli illustri che passarono da Roma. Ci sono molte donne in questo dizionario che si spostarono a Roma?
La pubblicazione è eclettica; al suo interno troviamo personalità che, dalla Spagna o dall’Italia, estesero nel modo migliore i collegamenti tra i due paesi. Certo molte di queste personalità hanno vissuto specificatamente a Roma, in maniera temporanea o permanente. Però dobbiamo pensare che il dizionario, come abbiamo detto, non copre un tempo o un argomento, ma ha quel carattere aperto dei viaggi in cui cerchiamo ciò che abbiamo letto, ma ci lasciamo anche sorprendere da ciò che non conoscevamo. Le donne che vi compaiono fanno lo stesso percorso.
Chi metteresti in evidenza?
A Roma, non posso non citarle, ci stettero Maria Zambrano o Maria de Pablos Cerezo. La prima, perché il suo pensiero è già riconosciuto come una di quelle “radure nella foresta” di cui ha tanto bisogno questo mondo della nostra contemporaneità perduta, inquieta e senza meta. E la seconda, perché, come Maria Zambrano ma in modo ancora più lacerante, l’essere donna distrusse un destino senza che nessuno lo reclamasse. La voce delle donne, come quella di Cassandra, si sentiva ma non veniva ascoltata. E la Filosofia o l’Arte non si salvano da millenni di tradizione canonica escludente, non solo nello stile possibile, ma anche nello spazio del comune che è permesso occupare. Uno spazio proibito, socialmente parlando, per le donne.
Qualche aneddoto che vuoi mettere in evidenza?
Vorrei raccontare, molto brevemente, il caso di Maria de Pablos. Musicista brillantissima, la prima donna ad aver ottenuto una borsa di studio tramite concorso all’Accademia di Spagna a Roma. Appoggiata dai musicisti più significativi del panorama pedagogico spagnolo, premio straordinario in diverse specialità nel corso della sua carriera… Arriva a Roma con la gioia e l’impegno che non è necessario immaginare. E trova che, legalmente, l’Accademia non faceva distinzione tra uomini e donne. Ma la realtà è che, non essendoci mai state donne, non si è mai dovuto pensare alla punizione sociale a cui una giovane donna sarebbe stata sottoposta vivendo la vita di tutti i giorni, cioè nei bagni, nelle stanze, ecc. con gli uomini. Oppure non si era pensato che la richiesta di un borsista di vivere una vita culturale romana fosse in perfetta contraddizione “morale” con il fatto che, dopo una certa ora, una donna non poteva andare da sola per le strade della città… Dovette andare a Roma accompagnata da sua madre. E la stessa cosa le è successa a Parigi, città che sceglie per continuare gli studi, e dove ha avuto come insegnanti un Paul Dukas o una Nadia Boulanger che la ammirano e incoraggiano. Improvvisamente, questa donna di quella “età dell’argento della cultura spagnola”, come la stessa Maria Zambrano, questa “moderna”, questa “senza cappello” lascia tutto. Nonostante le bellissime ed emozionanti lettere che scrive raccontando la sua esperienza di creatrice, di studentessa al centro della storia, lascia la borsa di studio senza spiegazioni… E sono 50 anni di silenzio in un ospedale psichiatrico, fino alla sua morte… La dottoressa in musicologia Pilar Serrano ha appena pubblicato un libro fondamentale su María de Pablos. Speriamo che possa essere presentato a Roma molto presto, sarà un atto di giustizia poetica.
Margarita Rodríguez. Roma, 8 marzo 2020.